Di conoscenza e di scarpe

Vincent Van Gogh, Scarpe, 1886; particolare. Crediti: Van Gogh Museum, Amsterdam (Vincent van Gogh Foundation) / Wikimedia
Vincent Van Gogh, Scarpe, 1886; particolare. Crediti: Van Gogh Museum, Amsterdam (Vincent van Gogh Foundation) / Wikimedia
Vincent Van Gogh, Un paio di scarponi, 1887; particolare. Crediti: The Baltimore Museum of Art / Google Art Project / Wikimedia
Vincent Van Gogh, Un paio di scarponi, 1887; particolare. Crediti: The Baltimore Museum of Art / Google Art Project / Wikimedia
Vincent Van Gogh, Scarpe, 1888; particolare. Crediti: The Metropolitan Museum of Art (The Annenberg Foundation Gift) / Wikimedia
Vincent Van Gogh, Scarpe, 1888; particolare. Crediti: The Metropolitan Museum of Art (The Annenberg Foundation Gift) / Wikimedia

Servizio comunicazione istituzionale

28 Febbraio 2021

“La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come legna da ardere, ha bisogno solo di una scintilla che la accenda, che vi infonda l'impulso alla ricerca e il desiderio della verità”. Prendendo spunto dalle parole di Plutarco (L’arte di ascoltare), proseguiamo il nostro percorso nell'officina del sapere dell’USI in occasione del 25esimo dell'Università e lo facciamo con una riflessione su conoscenza, apprendimento e insegnamento letteralmente “favolosa” a firma del Prorettore per la formazione e la vita universitaria, Prof. Lorenzo Cantoni. 

 

Il mugnaio del Gatto con gli Stivali lasciò in eredità ai figli un mulino, un asino e un gatto. Il terzo, quello all’apparenza più sfortunato, sposerà la principessa e diventerà re. Solo la capacità di conoscere, la nostra dimensione spirituale, ci permette di crescere ben oltre la nostra situazione materiale. Solo coltivando il gatto che è in noi possiamo crescere come esseri umani e andare oltre mulini – i beni materiali – e asini: la dimensione della vita fisica.
Il gatto indossava un paio di stivali – da cui il nome della fiaba in francese e italiano – ma aveva anche un Master: era un Master Cat

Cenerentola ha coltivato la sua capacità di fare conoscenza e di relazionarsi con le altre persone in modo affabile e simpatetico anche a costo di essere umiliata e di dormire per terra accanto al camino. La sua ricchezza interiore trovò un’espressione esteriore negli abiti che le donò la fata madrina. E soprattutto nelle scarpe: si trattasse di scarpette d’oro, come suggeriscono i fratelli Grimm, o di vetro, come nella versione di Charles Perrault. O magari di cristallo, come nel film di Walt Disney. Grazie alle scarpette poteva toccare terra e insieme muoversi leggera nel ballo (in latino si direbbe: Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu).
E fu proprio grazie a una scarpetta che venne ri-conosciuta.

La regina matrigna di Biancaneve, invece, anziché cercare la conoscenza del mondo e di sé stessa (γνῶθι σαυτόν si sarebbe detto in greco), chiedeva allo specchio solo conferma alla propria vanità e arroganza, al proprio potere capace di uccidere chi la mettesse in ombra. Più volte provò a uccidere Biancaneve, ma invano. Non fu desiderio di conoscenza, ma una curiosità ansiosa e stizzita che la spinse al matrimonio di una giovane regina che lo specchio le aveva rivelato essere mille volte più bella di lei: Biancaneve. E furono scarpe incandescenti a portarla alla fine, incapace di una relazione con la terra e con il cielo [1].

Pinocchio non aveva bisogno di scarpe quando, appena sbozzato, scappò via da Geppetto e “andava a salti come una lepre, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini”. Fu preso da un carabiniere e riconsegnato “nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come rimase, quando nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché? perché, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli”.
Quando il burattino imparò ad ascoltare, divenne un essere umano. Non un legno che ha bisogno di radici nella terra, ma l’unica pianta che ha radici in cielo, come insegna Platone nel Timeo.

Ecco dunque lo scopo dell’insegnamento e dell’apprendimento: conoscere, in modo vero, umile, buono e bello. E questo dà anche gioia:

“luce intellettual, piena d’amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso XXX, 40-42).

 

[1] „Aber es waren schon eiserne Pantoffeln über das Kohlenfeuer gestellt worden. Sie wurden mit Zangen hereingetragen und vor sie hingestellt. Da musste sie in die rotglühenden Schuhe treten und so lange tanzen, bis sie tot zur Erde fiel“.

 

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